24 maggio 2015

CONSIDERAZIONI SULLA GIUSTIZIA DEL TRIBUNALE FEDERALE SUL CASO N. 1313/15


Risultati immagini per shakespeareNel “Giulio Cesare” di William Shakespeare è centrale l’immagine di Antonio che di fronte al cadavere di Bruto, morto suicida, esclama: “Questo era un uomo”.

Ma qual è la caratteristica che consente di apprezzare come “uomo” anche il peggiore nemico? Forse quella che conduce ogni uomo a preservare la propria autenticità e la propria libertà interiore dalla tentazione della menzogna e dell’ipocrisia grazie alla consapevolezza del fatto che è piuttosto misero mentire agli altri perché così facendo, prima di tutto, si mente a se stessi.

A questo punto alcuni di voi si domanderanno cosa c’entra la giustizia federale con il dramma Shakespeariano. Adesso tenterò di spiegarlo.

 Alcuni giorni fa è stata pubblicata sul sito F.I.S. la sentenza del Tribunale federale pronunciata sul caso “Sebastiano Manzoni”.

Per chi non avesse seguito su questo blog l’ultra nota vicenda dell’affiliazione dell’associazione Accademia Scherma Palermo, avvenuta in parziale difformità dalle regole federali che ne regolamentano la procedura, potrà leggere la sentenza che nel ricostruirne i tratti essenziali giunge ad un giudizio di condanna alquanto blando e marginale.

L’importanza (di segno negativo) del provvedimento giudiziale risiede non tanto in quello che è stato affermato quanto piuttosto in ciò che avrebbe dovuto essere accertato.

I giudici federali hanno ricostruito la vicenda ripercorrendo le difese del Manzoni che, nel tentativo di attenuare le proprie responsabilità, ha sostenuto un’argomentazione difensiva strutturata su affermazioni talmente inattendibili che la Procura federale e gli stessi giudici non potevano non rilevare.

Eppure questo non è avvenuto. Perché?

Scrivono i giudici che “Manzoni, in sostanza, si era indotto a firmare in bianco il modulo di affiliazione … soltanto in quanto lo avrebbe fiduciariamente indirizzato all’avvocato Paola Puglisi, da lui  stesso ritenuta garante di piena trasparenza, sia per la qualità professionale posseduta sia per la carica sociale posseduta di tesoriere affinché poi lo stesso modulo materialmente compilato potesse essere inoltrato alla federazione come in effetti avvenuto, essendovi giunto completo in tutti i suoi campi

Ma come è possibile che la tesi difensiva del sig. Manzoni poggi su affermazioni non vere, ai limiti della diffamazione, per avere ragione delle quali l’avv. Puglisi è stata costretta ad adire le competenti autorità?

Come è possibile che il sig. Manzoni non abbia desistito dal chiamare in causa un professionista legale, assumendo di averlo investito di un incarico fiduciario sebbene nel momento in cui ha apposto la propria firma “in bianco” per consentire l’affiliazione di Accademia Scherma Palermo neppure lo conoscesse?

Perché non ammettere fino in fondo le proprie responsabilità rivelando il nome di colui che gli aveva richiesto di sottoscrivere quel foglio in bianco, della persona a cui lo ha realmente consegnato e le ragioni per cui vi ha acconsentito? Quali interessi dovevano essere tutelati attraverso le fantasiosi invenzioni della difesa e perché la Procura e il Tribunale Federale non hanno ritenuto necessario accertarli?

E ancora, come può avere dimenticato il sig. Manzoni quanto accaduto il 19 gennaio 2014, ovvero oltre un anno dopo l’apposizione di quella firma “in bianco”, quando in compagnia del sig. Arturo Torregrossa  nel corso della gara GPG di Mazara del Vallo si presentò per la prima volta al sottoscritto e all’avvocato Paola Puglisi qualificandosi come Presidente del Comitato Regionale Sicilia  chiedendo di potere avere un incontro riservato nel quale, al fine di preservare il buon nome della Federazione e del presidente Giorgio Scarso, come disse, tentò di poter far “chiudere” la vicenda “Pietro Ingargiola” con una “stretta di mano”?

Purtroppo tutte queste domande sono destinate a restare senza risposta!

Tuttavia se è vero che nell’ordinamento giuridico penale del nostro Stato agli imputati è sempre riconosciuto il sacrosanto diritto di difendersi anche mentendo, non così è per l’ordinamento sportivo della Fis dove il diritto di difesa trova un limite insuperabile dinanzi ai superiori principi di lealtà e sportività che non lasciano spazio alla menzogna.

Questo è proprio quello che ho avuto modo di sperimentare quando, avendo personalmente assunto la difesa del dott. Maurizio Gioacchino Seminara, incolpato e deferito al giudizio federale  con l’accusa  di avere mentito al procuratore nel corso di una indagine a cui era stato sottoposto,  ho dimostrato l’infondatezza dell’accusa ottenendone l’assoluzione.

Se ne deduce che nell’ambito della giustizia federale mentire ad un organo di giustizia costituisce pur sempre illecito poiché indice di slealtà e antisportività!

Mi domando allora come mai il Procuratore e i Giudici federali non hanno ritenuto opportuno verificare la veridicità delle dichiarazioni difensive rese dal Manzoni, cosa peraltro agevole sotto il profilo investigativo, in modo da accertare il vero movente della sua condotta e quindi deferirlo e giudicarlo anche per quello stesso illecito che l’anno prima avevano ritenuto di dover contestare al dott. Seminara?

Certo che in questo caso, a differenza del Seminara, il sig. Manzoni difficilmente avrebbe potuto ottenere una assoluzione stante l’evidente inconsistenza delle sue difese e una sua condanna avrebbe avuto ripercussioni non soltanto a livello locale, essendo egli il Presidente del Comitato Sicilia, ma anche a livello nazionale essendo egli una persona di stretta fiducia del Presidente Scarso in quanto parte attiva dello Staff Presidenziale.

Tuttavia c’è sempre tempo per recuperare una occasione perduta.

Non sarà certo l’inutile ammonizione inflitta dai giudici federali a poter risolvere la questione ma forse, rassegnando oggi le proprie dimissioni, il sig. Manzoni potrà finalmente onorare quei principi di lealtà e sportività che  stanno tanto a cuore al Presidente  Federale.

 A. Fileccia

 

 

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